mercoledì 4 maggio 2016

Il mosaico si compone...

L’utile e l’inutile: a cosa serve la formazione?
Curiosità? Interesse? Miglioramento? Cos’è Modul-Life?
Utile o inutile? E’ un’opportunità? Una novità? E’ un metodo alternativo? Educativo? E’ formazione o è cultura?
Educazione… già, l’educazione… L’educazione è per la vita: ideali nel tempo; l’educazione è a tutto tondo: non è mai troppo tardi per mettersi in gioco; non è mai troppo tardi per rimettersi in gioco, per imparare: l’età evolutiva può iniziare a 50 anni… educazione permanente la chiamano, evoluzione continua, miglioramento continuo… Però dobbiamo imparare a uscire da schemi preconfezionati: interiorizzare e non memorizzare; apprendimento significa trattenere, è normale: spiegare in modo stimolante, attraverso la comunicazione, a delle persone, che ci mettono volontà, a volte nostalgia, a volte passione, altre disperazione. Semplice! Ma apprendimento è anche altro: vedere oltre, la scoperta, con stupore, con sorpresa , del valore del bello, forse non solo formazione personale ma, addirittura, opportunità di dare un senso alla vita, scegliere il meglio, non il famoso. E’ la metafora della farfalla: il bozzolo e la rinascita… consapevolezza della fragilità, della diversità, del talento, della personalità, della nostra umanità dopo tutto. Si dice che il miglior modo per apprendere è insegnare; insegnare per apprendere… allora è condivisione! E’ solidarietà, fiducia… anche amicizia? Addirittura dono? Sarebbe entusiasmante, sarebbe emozionante. Altro che “one superman show”…  bravo, si. Ma l’educativo è passione, lettura e condivisione di fragilità: la mia fragilità, la tua fragilità… è condivisione! Ma, alla fine: fragilità o opportunità? Il bruco che diventa farfalla: il riscatto delle persone fragili.

Ti racconto il mio lavoro. Vita di fabbrica ieri e oggi, fra storia e memoria
La storia siamo noi. Lo dobbiamo ricordare. La velocità non adatta all’uomo? Siamo di fronte a cambiamenti sempre più frenetici, di fronte alle trasformazioni della società, la perdita della manualità,  la globalizzazione, la liquidità dell’attività e l’immaterialità del lavoro, il progresso, ma anche precarietà e insicurezza… il futuro/ansia, frenesia: lo sviluppo nasce dalle grandi variazioni sociali, dicono. I momenti di rottura con la storia: quale il prossimo?
C’è spazio limitato al pensiero per la velocità del tempo… e allora prendiamoci del tempo libero e senza troppa nostalgia, né inquietudine, ma con franchezza lasciamo libertà ai pensieri, alla memoria. Il piacere di ricordare chi siamo è gratificante e stimolante… ma l’uso della memoria, da interessante e coinvolgente diventa vivificante quando capire la storia significa capire il nostro futuro: il cambiamento non è possibile se non è interno all’essere. Il valore del ricordo: fratture e traumi – 1976: trauma! –, la voglia di risollevarsi, e poi ancora la famiglia, ideali e valori, solidarietà! Altro che individualismo! Solidarietà… Sogno, ma anche tristezza, tristezza negli avvenimenti, rammarico per un tempo che non c’è più. Perché gli uomini dimenticano velocemente e si adeguano ai nuovi standard così velocemente?
Vale anche per il lavoro: velocizzazione delle tempistiche di trasformazione del lavoro, paura di questa velocità richiesta nell’ambiente lavorativo: l’evoluzione del lavoro, dalla zappa ai tablet. Cosa ci dobbiamo attendere per il prossimo futuro? La consapevolezza dell’importanza della memoria, anche a livello di fabbrica: lo sciopero, l’aspettativa, la ricostruzione: costruire e ricostruire, la fatica, e poi i momenti di terrore: ricordati quella domanda: il lavoro rende liberi?
L’evoluzione storia-lavoro è collegata: non c’è storia senza lavoro, la Repubblica è fondata sul lavoro. Il lavoro è nobiltà e orgoglio, il lavoro per disegnare la vita, il lavoro come principio di solidarietà. Ancora solidarietà. Addetto alla pompa di benzina, panettiere, operaio, norcino, cameriere, rappresentante, autista, impiegato… quanti primi giorni di lavoro: la storia siamo noi, singoli chicchi di grano.      

Raccontare la fabbrica, raccontarsi in fabbrica
Non c’è nulla di nuovo, è tutto già scritto. Attraverso camminando i corridoi e vedo i vari uffici in cui ho vissuto; mi affaccio come a guardare i cassetti della memoria: ricordo competizione, ma anche squadra; ipocrisia, ma anche rispetto; omertà ma anche sincerità. Come in grammatica, anche in fabbrica c’è errore ed errore: c’è la pigrizia, uguale negligenza, uguale errore, e poi c’è l’errore costruttivo: esporsi, tentare, errare e poi imparare: sbagliando si impara insomma o, se si vuole, errorando agendo. L’errore può essere visto come opportunità di crescita e non lettera scarlatta cucita addosso alla persona solamente se si è duri con l’errore, morbidi con l’uomo; si può trasformare l’errore del singolo in occasione di crescita per il gruppo solamente se nel gruppo ci sono rispetto e protezione, perché il gruppo mal guidato può creare danni. Attenzione però: formarsi con errori è bene, ma va bene anche formarsi tramite spiegazioni… solo con errori è pesante. E poi: puntare su formazione e formalizzare i processi va evidenziato, non solo letto. Ottime riflessioni e spunti non ci sono solo nei libri… la formazione è anche esperienza raccontata, da tutti. Ad esempio c’è curiosità a sentire il dibattito fra i capi, specie su argomenti forti, ma attenti a non far parlare solo le direzioni, altrimenti amen, è incongruenza. Nel gruppo, solo il dialogo può portare armonia, confort e tranquillità anche nella routine: riconoscere gli errori ma anche i successi, esprimere un apprezzamento, usare la “penna verde”, per evitare che aspettative attese siano disattese, e valorizzare le competenze, per davvero! E’ indispensabile portare oggetti personali su posto di lavoro per farlo sentire proprio? A volte basta sentirsi considerati e riconoscere l’umiltà: “parlava poco, ma la sapeva lunga”. E infine: l’ambizione lavorativa, la responsabilità e quindi l’impegno orario è da rilanciare con la qualità di vita all’esterno del lavoro. Al lavoro “come pesci di vaga in un acquario”, o lucciole per lanterne, ma la vita le nostre correnti e le nostre sponde saprà navigare.

La rappresentazione si se stessi nella vita, tra sincerità, finzione e ipocrisia
Già, la vita: in che momenti mostriamo la nostra vera faccia, senza maschera?
Davanti allo specchio, alla ricerca dell’identità, scegliamo le maschere da indossare o togliere, come a carnevale: la maschera dell’ipocrisia, come strumento per mantenersi uno status sociale, economico considerato ottimale (in fin dei conti “ipocrisia” è correggere i difetti); la maschera triste e quella del riso; la maschera quotidiana della sopravvivenza, mascherarsi per sopravvivere… questa è la prospettiva: attribuirsi un’identità che non abbiamo, come tu mi vuoi. Ogni giorno una trasformazione, con creatività e poco confronto: interpretiamo ruoli e schemi ad arte, come fossimo Dario Fo o sua moglie, ma non siamo in teatro o al cinema… La vita è finzione? Quale verità? Sogno o son desto? Non lo so: relativismo, avrebbe detto Pirandello. Peccato non poter dire la verità… però alle volte è una fortuna perché pazzia equivale a verità: pazzia, pazzia, piacevole pazzia: vorrei poter essere pazzo! Gridi la verità e tutti a prenderti per pazzo: è il lusso della pazzia. Ma è una proiezione poco coinvolgente, non verosimile. L’insegnamento della vita e delle esperienze dice che viviamo costruendo confini, e poi vorremmo vivere su di un’isola deserta, per paura della diversità, o come estrema catarsi dalla falsità. Interessante, ma noioso. Il teatro, però, non è solo finzione: teatro come strumento per mantenersi svegli e autocritici, la maschera della credibilità; il teatro senza veli e di fronte a testimoni, con semplicità e trasparenza: questo è un buon approccio al teatro, da scoprire, stimolante e coinvolgente: vuoi vedere che la vera catarsi è essere se stessi?     

Othello su Facebook
La dialettica fra realtà e finzione oggi avviene su facebook. Conoscere strumenti facebook significa rappresentare se stessi in modo ammaliante: ci sarà un perché nella foto del profilo c’è un oca? Chi ha orecchie... E’ la forza dell’immagine, cattura dell’attenzione, fascino del mimetismo, il potere di creare incomprensioni: che bello poter essere un sofisticato affabulatore e narratore! Non servono tradimento e gelosia, non serve essere in possesso dell’arte della parola o di una narrazione sublime, dal ritmo coinvolgente. E’ più interessante rappresentare il racconto con immagini: mi insegna a leggere più lentamente, destare interesse, illudere che io sono quello che sono, che è visto dagli altri, compreso facebook: la curiosità dovrebbe far vedere più aspetti della realtà, ma la realtà non è ciò che si vede. Specchio perfetto, specchio maledetto: l’apparenza inganna. La genialità di Shakespeare, apertura e forza della cultura: Othello è la modernità! Autorappresentazione e captatio benevolentiae, il lato facebook della forza, dell’autorevolezza, del carisma, a mascherare lati oscuri, fragilità, anche lui sarà cattivo e imperfetto! E noi siamo reali nella vita o su facebook? E Laura? Mistero.  A proposito: grazie, bravissima, serata molto interessante.

Che fantastica storia è la vita: narrazione e racconto di sé
Bel percorso, ModulLife. Fatto di emozioni, cultura, storia. Introspettivo e reale; coinvolgente e interessante: mi ha incuriosito la semiotica! E che emozione l’isotopia. Una tappa entusiasmante della mia vita lavorativa? Beh, forse è troppo. Ma ora ho più consapevolezza del senso di appartenere a una realtà di vita, dove il qualificarsi e l’avere competenza ha la stessa importanza della narrazione: raccontare per conoscere se stessi, narrare come espressione di se stessi, condividere le esperienze, co-costruire narrazioni di vita.
Non so se sia una interpretazione corretta, voglio dire l’interpretazione di quanto vediamo ogni giorno, ma è molto utile lo schema delle narrazioni per aiutarsi quando si è psicologicamente in difficoltà: alle volte si narra quelle che non è stato, ma forse è un auto aiuto? Dobbiamo essere artefici e promotori del cambiamento che cerchiamo; comunicare significa saper parlare e saper capire: va imparato! Non so nemmeno se lo scopo era mettere assieme la vita privata e il lavoro, ma in effetti la vita reale e la vita d’azienda… perché separate? Come fossimo sliding doors incrociamo storie ogni giorno: ciascuno di noi ha un racconto diverso: il suo destino, la sua vocazione, ciascuno ci mette il proprio entusiasmo, ma tutto avviene in una sorta di ordine universale, fra manipolazione, competenza, performanza e sanzione (sanzione che poi significa più lusinga e meno minaccia: spesso la sanzione è scordata, bisogna imparare a sanzionare). Contestualizzato nella vita di tutti i giorni è perfetto: arte di narrativizzare il dono della vita, anche i momenti di rottura. Perchè quando penso che sia finita, è proprio allora che comincia la salita. Che fantastica storia è la mia vita!

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