L’utile e l’inutile:
a cosa serve la formazione?
Curiosità?
Interesse? Miglioramento? Cos’è Modul-Life?
Utile o
inutile? E’ un’opportunità? Una novità? E’ un metodo alternativo? Educativo? E’
formazione o è cultura?
Educazione…
già, l’educazione… L’educazione è per la vita: ideali nel tempo; l’educazione è
a tutto tondo: non è mai troppo tardi per mettersi in gioco; non è mai troppo
tardi per rimettersi in gioco, per imparare: l’età evolutiva può iniziare a 50
anni… educazione permanente la chiamano, evoluzione continua, miglioramento
continuo… Però dobbiamo imparare a uscire da
schemi preconfezionati: interiorizzare e non memorizzare; apprendimento significa
trattenere, è normale: spiegare in modo stimolante, attraverso la
comunicazione, a delle persone, che ci mettono volontà, a volte nostalgia, a
volte passione, altre disperazione. Semplice! Ma apprendimento è anche altro: vedere oltre, la scoperta, con stupore, con sorpresa ,
del valore del bello, forse non solo formazione
personale ma, addirittura, opportunità di dare un senso alla vita, scegliere il
meglio, non il famoso. E’ la metafora della farfalla: il bozzolo e la
rinascita… consapevolezza della fragilità, della diversità, del talento, della
personalità, della nostra umanità dopo tutto. Si dice che il miglior modo per
apprendere è insegnare; insegnare per apprendere… allora è condivisione! E’
solidarietà, fiducia… anche amicizia? Addirittura dono? Sarebbe entusiasmante,
sarebbe emozionante. Altro che “one superman show”… bravo, si. Ma l’educativo è passione, lettura
e condivisione di fragilità: la mia fragilità, la tua fragilità… è
condivisione! Ma, alla fine: fragilità o opportunità? Il bruco che diventa
farfalla: il riscatto delle persone fragili.
Ti racconto
il mio lavoro. Vita di fabbrica ieri e oggi, fra storia e memoria
La storia
siamo noi. Lo dobbiamo ricordare. La velocità non adatta all’uomo? Siamo di
fronte a cambiamenti sempre più frenetici, di fronte alle trasformazioni della
società, la perdita della manualità, la
globalizzazione, la liquidità dell’attività e l’immaterialità del lavoro, il
progresso, ma anche precarietà e insicurezza… il futuro/ansia, frenesia: lo
sviluppo nasce dalle grandi variazioni sociali, dicono. I momenti di rottura
con la storia: quale il prossimo?
C’è spazio
limitato al pensiero per la velocità del tempo… e allora prendiamoci del tempo
libero e senza troppa nostalgia, né inquietudine, ma con franchezza lasciamo libertà
ai pensieri, alla memoria. Il piacere di ricordare chi siamo è gratificante e
stimolante… ma l’uso della memoria, da interessante e coinvolgente diventa vivificante
quando capire la storia significa capire il nostro futuro: il cambiamento non è
possibile se non è interno all’essere. Il valore del ricordo: fratture e traumi
– 1976: trauma! –, la voglia di risollevarsi, e poi ancora la famiglia, ideali
e valori, solidarietà! Altro che individualismo! Solidarietà… Sogno, ma anche
tristezza, tristezza negli avvenimenti, rammarico per un tempo che non c’è più.
Perché gli uomini dimenticano velocemente e si adeguano ai nuovi standard così
velocemente?
Vale anche
per il lavoro: velocizzazione delle tempistiche di trasformazione del lavoro,
paura di questa velocità richiesta nell’ambiente lavorativo: l’evoluzione del
lavoro, dalla zappa ai tablet. Cosa ci dobbiamo attendere per il prossimo
futuro? La consapevolezza dell’importanza della memoria, anche a livello di
fabbrica: lo sciopero, l’aspettativa, la ricostruzione: costruire e
ricostruire, la fatica, e poi i momenti di terrore: ricordati quella domanda:
il lavoro rende liberi?
L’evoluzione
storia-lavoro è collegata: non c’è storia senza lavoro, la Repubblica è fondata
sul lavoro. Il lavoro è nobiltà e orgoglio, il lavoro per disegnare la vita, il
lavoro come principio di solidarietà. Ancora solidarietà. Addetto alla pompa di
benzina, panettiere, operaio, norcino, cameriere, rappresentante, autista,
impiegato… quanti primi giorni di lavoro: la storia siamo noi, singoli chicchi
di grano.
Raccontare
la fabbrica, raccontarsi in fabbrica
Non c’è
nulla di nuovo, è tutto già scritto. Attraverso camminando i corridoi e vedo i
vari uffici in cui ho vissuto; mi affaccio come a guardare i cassetti della
memoria: ricordo competizione, ma anche squadra; ipocrisia, ma anche rispetto;
omertà ma anche sincerità. Come in grammatica, anche in fabbrica c’è errore ed
errore: c’è la pigrizia, uguale negligenza, uguale errore, e poi c’è l’errore
costruttivo: esporsi, tentare, errare e poi imparare: sbagliando si impara
insomma o, se si vuole, errorando agendo. L’errore può essere visto come
opportunità di crescita e non lettera scarlatta cucita addosso alla persona
solamente se si è duri con l’errore, morbidi con l’uomo; si può trasformare
l’errore del singolo in occasione di crescita per il gruppo solamente se nel
gruppo ci sono rispetto e protezione, perché il gruppo mal guidato può creare
danni. Attenzione però: formarsi con errori è bene, ma va bene anche formarsi
tramite spiegazioni… solo con errori è pesante. E poi: puntare su formazione e
formalizzare i processi va evidenziato, non solo letto. Ottime riflessioni e
spunti non ci sono solo nei libri… la formazione è anche esperienza raccontata,
da tutti. Ad esempio c’è curiosità a sentire il dibattito fra i capi, specie su
argomenti forti, ma attenti a non far parlare solo le direzioni, altrimenti
amen, è incongruenza. Nel gruppo, solo il dialogo può portare armonia, confort
e tranquillità anche nella routine: riconoscere gli errori ma anche i successi,
esprimere un apprezzamento, usare la “penna verde”, per evitare che aspettative
attese siano disattese, e valorizzare le competenze, per davvero! E’
indispensabile portare oggetti personali su posto di lavoro per farlo sentire
proprio? A volte basta sentirsi considerati e riconoscere l’umiltà: “parlava
poco, ma la sapeva lunga”. E infine: l’ambizione lavorativa, la responsabilità
e quindi l’impegno orario è da rilanciare con la qualità di vita all’esterno
del lavoro. Al lavoro “come pesci di vaga in un acquario”, o lucciole per
lanterne, ma la vita le nostre correnti e le nostre sponde saprà navigare.
La
rappresentazione si se stessi nella vita, tra sincerità, finzione e ipocrisia
Già, la vita:
in che momenti mostriamo la nostra vera faccia, senza maschera?
Davanti
allo specchio, alla ricerca dell’identità, scegliamo le maschere da indossare o
togliere, come a carnevale: la maschera dell’ipocrisia, come strumento per
mantenersi uno status sociale, economico considerato ottimale (in fin dei conti
“ipocrisia” è correggere i difetti); la maschera triste e quella del riso; la
maschera quotidiana della sopravvivenza, mascherarsi per sopravvivere… questa è
la prospettiva: attribuirsi un’identità che non abbiamo, come tu mi vuoi. Ogni
giorno una trasformazione, con creatività e poco confronto: interpretiamo ruoli
e schemi ad arte, come fossimo Dario Fo o sua moglie, ma non siamo in teatro o
al cinema… La vita è finzione? Quale verità? Sogno o son desto? Non lo so: relativismo,
avrebbe detto Pirandello. Peccato non poter dire la verità… però alle volte è
una fortuna perché pazzia equivale a verità: pazzia, pazzia, piacevole pazzia:
vorrei poter essere pazzo! Gridi la verità e tutti a prenderti per pazzo: è il
lusso della pazzia. Ma è una proiezione poco coinvolgente, non verosimile.
L’insegnamento della vita e delle esperienze dice che viviamo costruendo
confini, e poi vorremmo vivere su di un’isola deserta, per paura della
diversità, o come estrema catarsi dalla falsità. Interessante, ma noioso. Il teatro,
però, non è solo finzione: teatro come strumento per mantenersi svegli e
autocritici, la maschera della credibilità; il teatro senza veli e di fronte a
testimoni, con semplicità e trasparenza: questo è un buon approccio al teatro, da
scoprire, stimolante e coinvolgente: vuoi vedere che la vera catarsi è essere
se stessi?
Othello su
Facebook
La
dialettica fra realtà e finzione oggi avviene su facebook. Conoscere strumenti
facebook significa rappresentare se stessi in modo ammaliante: ci sarà un
perché nella foto del profilo c’è un oca? Chi ha orecchie... E’ la forza
dell’immagine, cattura dell’attenzione, fascino del mimetismo, il potere di
creare incomprensioni: che bello poter essere un sofisticato affabulatore e
narratore! Non servono tradimento e gelosia, non serve essere in possesso dell’arte
della parola o di una narrazione sublime, dal ritmo coinvolgente. E’ più
interessante rappresentare il racconto con immagini: mi insegna a leggere più
lentamente, destare interesse, illudere che io sono quello che sono, che è
visto dagli altri, compreso facebook: la curiosità dovrebbe far vedere più
aspetti della realtà, ma la realtà non è ciò che si vede. Specchio perfetto,
specchio maledetto: l’apparenza inganna. La genialità di Shakespeare, apertura
e forza della cultura: Othello è la modernità! Autorappresentazione e captatio
benevolentiae, il lato facebook della forza, dell’autorevolezza, del carisma, a
mascherare lati oscuri, fragilità, anche lui sarà cattivo e imperfetto! E noi
siamo reali nella vita o su facebook? E Laura? Mistero. A proposito: grazie, bravissima, serata molto
interessante.
Che fantastica
storia è la vita: narrazione e racconto di sé
Bel
percorso, ModulLife. Fatto di emozioni, cultura, storia. Introspettivo e reale;
coinvolgente e interessante: mi ha incuriosito la semiotica! E che emozione
l’isotopia. Una tappa entusiasmante della mia vita lavorativa? Beh, forse è
troppo. Ma ora ho più consapevolezza del senso di appartenere a una realtà di
vita, dove il qualificarsi e l’avere competenza ha la stessa importanza della
narrazione: raccontare per conoscere se stessi, narrare come espressione di se
stessi, condividere le esperienze, co-costruire narrazioni di vita.
Non so se
sia una interpretazione corretta, voglio dire l’interpretazione di quanto
vediamo ogni giorno, ma è molto utile lo schema delle narrazioni per aiutarsi
quando si è psicologicamente in difficoltà: alle volte si narra quelle che non
è stato, ma forse è un auto aiuto? Dobbiamo essere artefici e promotori del
cambiamento che cerchiamo; comunicare significa saper parlare e saper capire:
va imparato! Non so
nemmeno se lo scopo era mettere assieme la vita privata e il lavoro, ma in
effetti la vita reale e la vita d’azienda… perché separate? Come fossimo
sliding doors incrociamo storie ogni giorno: ciascuno di noi ha un racconto
diverso: il suo destino, la sua vocazione, ciascuno ci mette il proprio
entusiasmo, ma tutto avviene in una sorta di ordine universale, fra
manipolazione, competenza, performanza e sanzione (sanzione che poi significa
più lusinga e meno minaccia: spesso la sanzione è scordata, bisogna imparare a
sanzionare). Contestualizzato nella vita di tutti i giorni è perfetto: arte di
narrativizzare il dono della vita, anche i momenti di rottura. Perchè quando
penso che sia finita, è proprio allora che comincia la salita. Che fantastica
storia è la mia vita!


